Ogni giorno ci troviamo di fronte a scelte che possono cambiare il corso della nostra vita. Alcune sembrano semplici, altre ci paralizzano, ci tormentano, ci costringono a interrogarci su chi siamo e cosa vogliamo davvero. Iniziare una nuova attività, cambiare strada, perseverare nonostante le difficoltà – ogni decisione porta con sé un carico di dubbi e possibilità. Come facciamo a sapere se stiamo facendo la scelta giusta? Il significato della scelta La parola “scegliere” nasconde una profonda saggezza. Deriva dal latino exeligĕre, composto da *ex-* (fuori) e legĕre (raccogliere). Letteralmente significa “selezionare togliendo”, “separare il prezioso dall’ordinario”. Questa etimologia ci ricorda che ogni scelta è un atto di discernimento: Esclude (perché dire “sì” a una cosa significa dire “no” a infinite altre). Eleva (perché implica riconoscere ciò che ha più valore per noi). Ogni volta che scegliamo, stiamo distinguendo ciò che ci appartiene da ciò che ci allontana da noi stessi. Di fatto, non stiamo solo prendendo una decisione, stiamo definendo chi siamo. Come scegliere ciò che è giusto per noi? Con i miei clienti, amo parlare di valori, direzione e motivazione, perché sono le bussole che ci guidano quando il presente sembra confuso. Spesso restiamo intrappolati nel qui e ora, nelle paure del momento, nelle comodità che ci imprigionano. Ma la vera libertà arriva quando ci colleghiamo a una prospettiva più ampia. Se ci agganciamo a qualcosa di più grande – un ideale, una visione, un “perché” profondo – allora ogni fatica acquista senso. Su cosa ha dunque senso riflettere? I Valori – “Ciò che faccio rispecchia chi sono davvero?” I valori sono i nostri pilastri interiori, ciò che ci fa sentire in pace anche quando tutto intorno è incerto. C’è allineamento tra le tue azioni e i tuoi principi fondamentali? La fatica che stai affrontando serve a qualcosa in cui credi, o è solo resistenza senza scopo? La Direzione – “Verso dove sto andando, e perché?” Una bussola non ti dice ogni passo da fare, ma ti indica il Nord. Stai andando verso una metà significativa? Dove vuoi essere tra 1/5/10 anni? La Motivazione Intrinseca – “Cosa mi muove davvero dal profondo?” La motivazione autentica nasce da un fuoco interiore che ci spinge ad agire con gioia e convinzione. È quella spinta che ci fa dire: “Lo faccio perché mi risuona, perché mi sento vivo, perché è parte di me.” Come riconoscere la motivazione intrinseca? Energia spontanea Quando pensi a questa scelta, senti un’attrazione naturale o è solo un “dovrei”? Fluire, non forzare Se nessuno ti vedesse, se non ci fossero ricompense esterne, vorrei comunque farlo? Radici nei valori Ciò che fai è espressione di qualcosa che per me ha significato? Come farlo in 3 semplici mosse? Scegliere non è solo un atto razionale, ma un movimento verso ciò che ci definisce. Per trasformare il dubbio in chiarezza, possiamo lavorare su 3 aspetti: leggere, eleggere, intelligere. Non sono parole astratte, ma verbi che racchiudono l’arte di decidere con consapevolezza. Leggi (leggĕre) – Interpreta la realtà con chiarezza Fai un check: “Cosa vedo? Cosa sento? Cosa mi dice l’istinto?” Osserva senza filtri: le tue emozioni, i segnali esterni, ciò che resiste e ciò che fluisce. Elegi (elĕgere) – Scegli con intenzionalità, come un voto per il tuo futuro Chiediti: “Quale opzione onora davvero i miei valori?” Non esistono scelte perfette, solo scelte autentiche. Intelligi (intellĕgere) – Anticipa le conseguenze con saggezza Rifletti: “Cosa crea questa scelta? Mi avvicina o mi allontana da ciò che conta?” Ogni decisione pianta un seme: assicurati che il terreno sia fertile. Conclusione: Scegliere è un Ritorno a Sé Stessi Scegliere è un atto sacro. Non si tratta solo di opzioni pratiche, ma di chi vogliamo diventare. Ogni volta che separiamo l’essenziale dal superfluo, stiamo riprendendo contatto con la nostra verità interiore. Stiamo dicendo “sì” a una versione più libera, più integra, più fedele di noi stessi. Prima di decidere, fatti una domanda semplice ma potente:“Questa scelta mi rende più leggero o più pesante? Più vivo o più intrappolato?” La risposta, quando arriva dal cuore, non sbaglia mai.
Le Maschere che indossiamo
Quante volte ci sorprendiamo a: Jean-Paul Sartre chiamava questa recita mauvaise foi (mala fede): un inganno in cui crediamo di essere la maschera, dimenticando di poterla togliere. Per evitare l’angoscia delle scelte e delle possibilità, fingiamo di avere un’essenza fissa. Ma l’uomo, come scriveva Sartre, “non è ciò che è, ma ciò che sceglie di essere”. Cosa succede quando la performance sociale diventa una gabbia? E come può il coaching aiutarci a ritrovare un’esistenza autentica? 1. Perché Indossiamo Maschere? Il manager che “deve sempre essere forte” e reprime ogni dubbio, il genitore che “deve avere tutto sotto controllo” e non ammette mai stanchezza, l’amico che “deve essere sempre disponibile” anche a costo di annullarsi. Perché non riusciamo a farne a meno? Spesso e ci ritroviamo a dire frasi come: “Io sono questo”, “Devo essere così, non ho alternative”. 2. Come riconoscere le proprie maschere e come liberarsene? Non si tratta di eliminare i ruoli sociali (sarebbe impossibile!), ma di smettere di identificarci con essi. Siamo sempre in divenire: definiti non da un’identità fissa, ma dalle scelte che facciamo, attimo dopo attimo. Esercizio: La Maschera e il Volto 3.Conclusione Vivere autenticamente non significa rifiutare i ruoli sociali, ma viverli con presenza, sapendo di poterli trasformare in ogni momento. L’eredità di Sartre ci ispira a: Perché la vita non è un copione da seguire, ma una possibilità da inventare
Coaching: tra mito e realtà
Negli ultimi anni, il coaching ha guadagnato una reputazione ambivalente. Da un lato, è visto come uno strumento di crescita personale e professionale; dall’altro, molti lo considerano un’industria di motivatori superficiali che promettono cambiamenti miracolosi senza sostanza. Ma è davvero tutta colpa dei coach? La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. La mia esperienza personale mi ha mostrato che il coaching non è magia, eppure per me lo è stato. Non perché qualcuno mi abbia venduto soluzioni pronte, ma perché mi ha dato qualcosa di più potente: la possibilità di fermarmi, pensare ed esplorare prospettive nuove con i miei occhi. L’Ombra del Coaching: I venditori di illusioni Uno dei problemi principali del settore è la mancanza di norme chiare. Chiunque può definirsi “coach” da un giorno all’altro, senza formazione, esperienza o competenze dimostrabili. “Il coaching è un campo in cui l’accesso è incredibilmente facile, ma la maestria richiede anni di pratica e studio.” – Sir John Whitmore, pioniere del coaching Uno studio della International Coaching Federation (ICF) ha rilevato che, nonostante la crescita esponenziale del numero di coach, solo una piccola percentuale possiede certificazioni riconosciute. Questo ha portato a un mercato saturo di figure poco qualificate, che danneggiano la reputazione dell’intera professione: Come Riconoscere un Coach Serio? Non tutti i coach sono uguali. Ecco alcuni elementi per identificare un professionista valido:✅ Certificazioni riconosciute (es. ICF, EMCC, ACSTH)✅ Formazione specifica (corsi strutturati, non solo webinar di poche ore)✅ Esperienza dimostrabile (case study, testimonianze verificabili)✅ Etica professionale (rispetto dei codici deontologici, nessuna promessa di “soluzioni miracolose”) Il Ruolo del Cliente: La Volontà di Cambiare è Fondamentale Tuttavia, il coaching non è una magia. Il successo di un percorso dipende in gran parte dal cliente. Quante persone si avvicinano al coaching aspettandosi che il coach abbia la soluzione pronta? Proprio come fosse un servizio a domicilio. Frasi come:“Sei tu il coach, dimmi cosa devo fare!”sono il segnale di un approccio passivo che condanna il processo al fallimento. La realtà è che un vero percorso di coaching richiede:🔹 Impegno attivo (non basta partecipare, bisogna agire)🔹 Responsabilità (il coach non decide per te, ma ti guida)🔹 Apertura al feedback (anche quando è scomodo) La Verità? Una Relazione a Due Vie Il coaching è una danza a due: La verità è semplice: Il vero coaching non è dipingere illusioni, ma accendere specchi E quando trovi il coach giusto e ci metti del tuo… Allora sì che succede qualcosa di straordinario.
Coaching: perché la felicità è un viaggio verticale
“La felicità non è un dato, ma una costruzione” – scriveva José Ortega y Gasset nelle sue Meditazioni sulla felicità. Per il filosofo spagnolo, la vita autentica richiede un movimento attivo, un’ascesa faticosa verso la chiarezza, simile all’anabasi dei Greci di Senofonte: un’avanzata nel territorio ignoto di sé stessi, seguita da un ritorno trasformato. Ma cosa accade se paragoniamo questa anabasi filosofica al coaching moderno? E se il vero viaggio fosse una discesa verticale nell’interiorità, prima del ritorno al mondo? 1. L’Anabasi Filosofica: La Scalata di Ortega y Gasset Ortega vede la felicità come un’opera d’arte personale, non un dono passivo ma il frutto di un sforzo. L’Anabasi di Senofonte non è solo una ritirata militare: è una metafora della vita. I mercenari greci dovettero: Affrontare l’ignoto, senza mappe Mantenere la disciplina Combattere nemici esterni e interni Come i mercenari greci, che avanzano verso l’ignoto per poi ritornare cambiati, l’individuo deve affrontare il caos interiore per riconquistare un nuovo ordine. Oggi, però, molti cercano scorciatoie. Il coaching rischia di ridursi a “10 passi per la felicità”, promettendo vette senza il viaggio. Ma senza attraversare il territorio sconosciuto di sé stessi – senza affrontare le proprie tribù ostili interiori – non c’è vera trasformazione. 2. Il Coaching come Discesa Verticale Se l’Anabasi è una marcia in avanti, il coaching autentico è anche una discesa nell’abisso. Come i Greci che, prima di gridare “Thálassa!”, dovettero attraversare montagne e steppe, noi dobbiamo scendere nelle nostre profondità: E solo dopo viene l’esultanza: “Il mare! Il mare!” – la metafora della chiarezza, del ritorno a casa. Ma quella casa, ora, è diversa. 3. Andata e Ritorno: La Felicità come Movimento La felicità non sta né nella vetta né nella caverna, ma nel ritmo del viaggio: Per un Coaching “Anabasico” Ortega scriveva: “Io sono io e la mia circostanza”. Il coaching, allora, deve essere: “Ogni ritorno è un inizio” Il mare che raggiungiamo oggi non sarà lo stesso di domani. “Thálassa!” griderai ancora. Ma stavolta saprai: quel mare sei tu. E tu, sei pronto a navigare il tuo abisso?
Il Cambiamento Esiste Solo Se Si Vede?
Il Paradosso del Cambiamento: Visibile o Interiore? Spesso associamo il cambiamento a qualcosa di tangibile: risultati misurabili, azioni osservabili, trasformazioni esterne. Se una persona smette di fumare, perde peso, cambia lavoro, o migliora una relazione, riconosciamo il suo percorso. Ma cosa succede quando il cambiamento è silenzioso, puramente interiore? Spesso siamo spinti a celebrare solo ciò che è visibile, concreto, condivisibile. Eppure, alcune delle rivoluzioni più profonde avvengono nell’ombra: un pensiero che si trasforma, una paura affrontata, un limite mentale superato. La consapevolezza è il primo passo, ma è sufficiente per sentirsi fieri? La Consapevolezza: Il Terreno Fertile del Cambiamento Jung diceva che ciò che non portiamo alla luce diventa il nostro destino. La consapevolezza è proprio questo: illuminare le ombre per smettere di esserne schiavi. La consapevolezza non è solo “sapere” qualcosa è sentirlo. Ma che significato concreto può avere per noi? Quando il Fuori Diventa Specchio del Dentro Tuttavia, c’è un rischio nell’accontentarsi della sola consapevolezza: l’autoinganno. Quante volte abbiamo detto “So cosa devo fare” senza agire? E’ la consapevolezza fredda, il sapere senza sentire e senza agire. Per trasformare la comprensione in cambiamento, serve consapevolezza “calda”, emotivamente coinvolta: Non basta capire di avere paura del giudizio, serve sentire quel nodo allo stomaco quando esponiamo un’idea e scegliere di parlare comunque. Non basta capire di essere insicuri, serve osservare quella voce critica e rispondere con gentilezza. Questo è il divario tra sapere e fare e, in tal senso il cambiamento esteriore può essere un alleato: Fieri Dentro e Fuori Il cambiamento non è binario. La consapevolezza è la radice, l’azione è il frutto. Essere fieri di sé richiede entrambi: onorare il percorso interiore, anche se invisibile e accettare che, a volte, è proprio l’azione esteriore a consolidare la trasformazione interiore. E tu? Ti basta aver ‘capito’ per sentirti cambiato, o cerchi una prova nel mondo tangibile?
Un giorno questo dolore ti sarà utile?
Quando il lavoro ci spinge oltre i limiti: come distinguere tra crescita e autodistruzione Esiste una linea sottile, invisibile e spesso sfocata, tra ciò che ci spinge verso la crescita e ciò che ci consuma. La vita lavorativa non è solo un percorso di risultati e successi, ma spesso si trasforma in una lotta incessante contro il tempo, le aspettative e, soprattutto, contro se stessi. Ritmi impossibili, richieste insostenibili, interazioni che svuotano. La tua mente, esasperata, si ripete continuamente frasi come “Devo farcela”, “Non posso mollare”, “Sono quasi arrivato”, ma il corpo, un testimone silenzioso, lancia segnali sempre più evidenti di sofferenza. E allora ci chiediamo: La domanda dunque è: questo dolore è un trampolino per la crescita o una trappola della mente che ci porta verso l’autodistruzione? E allora, cosa possiamo fare? 1. Rientra in te stesso: la tua voce interiore è alleata o nemica? Questa domanda non è solo retorica: è un invito a riflettere sull’intensità e sulla qualità del nostro rapporto con noi stessi. Quante volte ci accettiamo solo se siamo produttivi? E quante volte accettiamo il nostro valore solo attraverso le lenti della performance e della comparazione sociale? Il linguaggio che usiamo con noi stessi ha un impatto profondo, perché modella la nostra percezione del mondo e la nostra reazione agli eventi: Possiamo usare un linguaggio distruttivo o rigenerante: La tua voce interiore è amica o nemica? Se è una critica incessante, è il momento di fermarsi e ricalibrare. 2. Osserva: l’ambiente in cui vivi ti nutre o ti avvelena? Non possiamo sempre scegliere l’ambiente di lavoro, ma possiamo imparare a leggerlo e a riconoscere se quello che ci circonda ci porta verso la crescita o verso il logoramento. Non chiederti se il tuo ambiente di lavoro è “buono” o “cattivo”. Chiediti “Qui, cosa viene nutrito? E cosa viene avvelenato?” Metti a fuoco: Come ti senti nei meeting? Gli errori sono visti come opportunità di crescita o come segni di inadeguatezza? Il feedback che ricevi ti sostiene o ti distrugge? Quali emozioni vengono coltivate e quali sono soffocate? Cosa fiorisce qui: la paura o la creatività? 3. Senti: il corpo non mente mai Il corpo è una bussola incredibilmente precisa che può dirci se siamo nel bel mezzo di un percorso che ci rinforza o che ci sta logorando. Lo stress cronico, infatti, non è solo una sensazione mentale: ha un impatto tangibile e fisico. La neuroscienza ci dice che lo stress prolungato riduce la plasticità cerebrale e accelera l’invecchiamento cellulare e la differenza tra eustress (stress positivo che stimola la crescita) e distress (stress che danneggia) è chiara nei segnali del corpo: 4. Fermati: sei davvero allineato con i tuoi valori? Immagina di poter fermare tutto, di poter chiudere gli occhi e di guardarti dall’esterno: cosa vedi? Sei allineato ai tuoi valori? Se il lavoro che fai ogni giorno ti costringe a sacrificare la tua salute, relazioni o i principi etici, la crescita che stai vivendo è illusoria. Le sfide possono aprire porte a nuove opportunità, ma se ci consumano senza lasciare spazio a un senso di integrità, stiamo solo danneggiando noi stessi. La domanda fondamentale da porsi è: Sto costruendo qualcosa di duraturo o mi sto solo consumando? Quando il dolore è utile? Il dolore non è mai fine a sé stesso. Non è la sofferenza che ci fa crescere, ma la sua qualità, la sua funzione. Il dolore è utile solo quando: Cosa fare? Il dolore è un insegnante crudele se lo ignoriamo, ma un alleato prezioso se lo ascoltiamo. Poniti delle domande ogni volta che senti che il confine tra crescita e autodistruzione si fa troppo sottile. La risposta potrebbe cambiare tutto.”
Come pianificare la carriera?
La bussola perduta: Orientarsi nel mondo delle possibilità Nell’era della complessità esplosa, il vero problema di chi vuole pianificare la propria carriera non è la mancanza di opportunità, ma l’eccesso di strade possibili. Come mai è così complesso orientarsi? 1.Sovraccarico decisionale Mentre fino a 10 anni fa i percorsi professionali erano ben definiti, oggi ci sono infinite varianti ibride, creando un effetto polarizzante tra una molteplicità di opzioni e ansia da scelta. 2.Le nostre mappe sono obsolete I modelli tradizionali, legati a specializzazioni e carriere verticali non funzionano più, e le metriche di successo sono cambiate: non si parla piu di soli stipendio e stabilità, entrando in gioco il senso di scopo e di flessibilità. Secondo il World Economic Forum, entro il 2025, 85 milioni di posti di lavoro potrebbero essere sostituiti dall’automazione, mentre ne emergeranno 97 milioni di nuovi ruoli legati a tecnologia e competenze avanzate (Future of Jobs Report 2023). 3.Il paradosso dell’autoconoscenza Abbiamo molte passioni ed interessi, ma come identificare quello che realmente vogliamo in un mondo cosi veloce e pieno di stimoli? In questo contesto, la domanda sorge dunque spontanea: ha ancora senso pianificare la carriera? La risposta è sì, ma con un approccio radicalmente diverso dal passato. La Nuova Pianificazione: Non Cosa Vuoi Fare, Ma Chi Vuoi Diventare Se dunque il mondo è in costante evoluzione, i parametri cambiano e le skills invecchiano velocemente, pianificare non significa più fissare un obiettivo rigido, ma costruire un set di competenze trasferibili, ripartendo in primis da noi stessi. I vecchi modelli ci chiedevano: “Dove ti vedi tra 5 anni?” Oggi la domanda è più profonda: Questo shift è fondamentale. Su Cosa Focalizzarsi dunque? 3 Punti Chiave Dopo aver individuato la direzione, affidati ai dei punti di riferimento. Ecco tre coordinate per tracciare la tua rotta: 1. Adotta un Approccio “Fluido” alla Carriera Invece di pensare: “Diventerò manager in 5 anni”, chiediti: Quali problemi mi piace risolvere? In quali ambienti lavoro meglio? Come posso rimanere rilevante tra 3-5 anni? 2. Impara ad Apprendere (Meta-Skills) La competenza più importante oggi è saper imparare velocemente. Le hard skills (es. programmazione, marketing digitale) hanno una scadenza, ma la capacità di aggiornarsi no. Cerca esperienze sul campo, svolgi micro-certificazioni. 3. Sviluppare Competenze Trasversali (Soft Skills) Le macchine sostituiranno molti lavori tecnici, ma difficilmente replicheranno creatività, pensiero critico, intelligenza emotiva e soprattutto curiosità. Prova quindi diversi ruoli (side hustle, freelance), costruisci un personal brand (LinkedIn, blog, portfolio) e tieni monitorate le tendenze del tuo settore. In questo contesto, perché un Career Coach può Fare la Differenza? In un contesto così dinamico, un career coach può essere un valido alleato per aiutarti a scoprire cosa puoi diventare. Un coach lavora sulle domande giuste e lavora su più livelli: Questo approccio è fondamentale per chi vuole cambiare carriera o ritrovare motivazione in un ruolo che sembra aver esaurito la sua spinta. Conclusione: Pianificare è Ancora Possibile, Ma Serve un Nuovo Approccio La carriera del futuro non si progetta su Excel, ma attraverso un percorso vivo, che evolve giorno dopo giorno. Il segreto non è semplificare la complessità, ma sviluppare: La tua sfida oggi non è trovare la carriera perfetta, ma diventare il perfetto esploratore di te stesso.
Quando il Lavoro Ti Delude
Ritrovare Sé Stessi tra Incomprensione e Disillusione C’è un dolore sottile, ma profondo, che nasce quando il lavoro smette di essere una fonte di soddisfazione e diventa invece un luogo di frustrazione. Quando ti rendi conto che, nonostante l’impegno, le energie e la passione che ci hai messo, qualcosa non torna. Manca il riconoscimento che speravi. Le tue idee sembrano sfiorare i colleghi senza lasciare traccia, i tuoi sforzi passano inosservati, e ogni giorno ti senti sempre più invisibile, senza visione, senza prospettativa. E poi arriva quel momento in cui guardi intorno e ti chiedi: Ma sono io che non capisco, o sono loro che non mi vedono? E così cominci a dubitare. Di tutto. Di ogni tua scelta, di ogni parola, di ogni gesto. Ti sei mai fermato a pensare a quante volte ti sei messo in discussione? A quante volte hai pensato: Forse sono io. Forse esagero. Forse non sono abbastanza. Ti sei smontato pezzo per pezzo, fino a non riconoscerti più. Fino a sentirti vuoto. Lo Specchio Distorto Gli altri ti hanno rimandato un’immagine di te che non riconoscevi. Troppo sensibile. Troppo lento. Troppo impulsivo. Troppo te stesso, eppure mai abbastanza. E tu ci hai creduto. Hai iniziato a camminare in punta di piedi, a trattenere le parole, a spegnere le emozioni. Il Momento in cui Capisci Poi, un giorno, accade qualcosa. Un attimo di lucidità. Un lampo. Capisci. Capisci la violenza che ti sei inflitto ogni volta che hai dubitato di te. Capisci il male che ti sei fatto, piegandoti, annullandoti, pur di entrare in uno stampo che non era il tuo. Capisci che forse il problema non eri solo tu. Che la verità sta nel mezzo. Che non esistono misure estreme. E allora ripensi a tutte quelle volte in cui, in realtà, avevi agito bene. A tutte le volte in cui avevi ragione, ma ti sei lasciato convincere del contrario. A tutte le volte in cui eri giusto, eppure ti sei sentito sbagliato. Raccogli i Pezzi E lì, in quel momento, senti qualcosa di nuovo. Il bisogno di ritrovarti. Di smettere di chiedere scusa, di rimpicciolirti, di estraniarti in pensieri negativi senza fine. Ti guardi allo specchio e, forse per la prima volta, non vedi più ciò che gli altri volevano che fossi. Vedi te. Con tutte le tue imperfezioni, le tue sfumature, le tue contraddizioni. E capisci che questa crisi aveva uno scopo, di farti cadere per poi rialzarti, più autentico, più forte, più umano. Ritrovarsi: Un Atto di Coraggio Forse non esiste una risposta semplice, una formula che cancelli il dolore di sentirsi invisibili. Ma quel lampo di lucidità—quell’istante in cui hai smesso di negarti—ti ha già indicato la strada. 1. Rubati alla narrazione altruiNon è ribellione, è sopravvivenza. Se aspetti che siano gli altri a dirti che vali, rimarrai deluso. Il riconoscimento più importante deve venire da te. Inizia a chiederti: Io, per primo, mi riconosco? Mi do il diritto di essere come sono? Il riconoscimento che cercavi altrove inizia lì—nello spazio tra ciò che eri e ciò che osi essere di nuovo. 2. Riconosci il deserto… e scegli di attraversarloNon fiorirai dove ti negano la luce, ma puoi smettere di aspettare che qualcuno ti annaffi. Se il terreno è arido, non scavare più a fondo: cerca un’altra terra. O, se decidi di restare, smetti di chiederti perché non cresci—inizia a portarti la tua acqua.A volte, sentirsi fuori posto non è un fallimento, ma la prova che sei fatto per un altro paesaggio. O che, forse, sei tu stesso il giardiniere che quel posto aspetta. 3.Ricomincia da te – con ferrea autenticità I tuoi valori non sono bandiere da sventolare nelle emergenze.Sono la spina dorsale che ti tiene eretto quando il mondo ti spingerebbe a curvarti. Agisci come se nessuno potesse fermarti: L’autenticità non è un rifugio.È l’arma con cui riconquisti il tuo territorio interiore.
‘Forse un giorno’ è oggi. Finalmente
Il Coaching: Riprenderti ciò che già sai Non è stato un caso. Non è stato un consiglio casuale di un’amica, né una curiosità passeggera. Era già lì, da sempre, quell’attrazione per l’interiorità che non avevo mai chiamato per nome. Quando ho sentito parlare di coaching, ho riconosciuto qualcosa, E quando ci sono entrata è stato una sorpresa, mi sono ritrovata in quello che posso solo descrivere come un “processo di smontaggio e rimontaggio dell’anima”. Credevo di sapere cosa significasse guardarsi dentro. Avevo letto, riflettuto. Avevo studiato Socrate, ma non avevo mai sentito la maieutica. Quella pratica antica che non ti riempie di concetti, ma ti svuota delle certezze fasulle, finché non resti con l’essenziale tra le mani. ll coaching è stato per me una lente d’ingrandimento sul cuore delle cose. Accendi un faro e scopri: La Casa Interiore: Demolizione e Ricostruzione in Corso Immagina di vivere in una casa costruita con mattoni presi da esperienze passate, intonaco fatto di convinzioni e infissi storti installati da genitori/amanti/ex capi. Il coaching ti aiuta a demolire ciò che non regge più e a ricostruire su misura: fondamenta solide, un lucernario sulla paura, porte che si aprono verso scelte consapevoli. Perché Funziona? Perché Non è Magia, è Allenamento. Ti allena a riconoscere schemi invisibili, a farti domande più potenti e a trasformare i “problemi” in opportunità concrete. E la vera bellezza? Nessuno ti dirà cosa fare: ti guideranno invece a scoprire cosa vuoi davvero. Ecco perché il coaching non è per tutti. Se cerchi qualcuno che ti ordini “fallo così”, non fa per te. Ma se vuoi qualcuno che ti sfidi con un “allora, come la vuoi veramente la tua vita?”… allora siamo sulla stessa strada. La Verità che Ho Scoperto Il coaching non mi ha dato nulla che non avessi già. Mi ha restituito ciò che avevo sepolto sotto strati di “dovrei”, “forse” e “un giorno”. E ora so che quell’ attrazione per l’interiorità non era un interesse, era un richiamo. E ho scelto di diventare coach proprio perché l’ho sperimentato su me stessa: so cosa significa ritrovarsi. E tu? Hai riconosciuto anche tu questo richiamo?
Sentirsi bloccati è una scelta
Il Blocco Interiore: Quando Volere Tutto Ci Impedisce di Vivere C’è una battaglia che si combatte ogni giorno nella mente di ognuno di noi. Da una parte, il richiamo dell’avventura, del cambiamento, della vita che potrebbe essere. Dall’altra, la rassicurante certezza della routine, del conosciuto, del sicuro. E in mezzo, i soldi – quel comodo alibi che usiamo per giustificare la nostra immobilità. “Se solo avessi più risorse”, pensiamo, “allora sì che farei quel salzo”. Vogliamo essere sia l’eroe che provvede, sia l’avventuriero che vive senza rimpianti. Vogliamo la sicurezza di uno stipendio fisso e la libertà di seguire la nostra vocazione. La stabilità per i nostri cari e l’autenticità per noi stessi. Ma la verità è più scomoda. Il vero problema non è la mancanza di mezzi ma la nostra incapacità di scegliere e questa divisione interiore non serve a proteggere la nostra famiglia: ci sta solo lentamente consumando. Vogliamo tutto, senza rinunciare a nulla. Ci aggrappiamo all’illusione che esista una formula magica per conciliare gli opposti, mentre la vita ci sussurra una verità antica: ogni scelta autentica richiede un sacrificio. L’inganno del “tutto e subito” Viviamo nell’era delle promesse impossibili. “Diventa ricco lavorando quattro ore a settimana”, “Raggiungi il successo senza sforzo”, “Viaggia il mondo spendendo poco”. Queste narrazioni ci hanno diseducati al valore del compromesso. Abbiamo dimenticato che ogni cosa di valore ha un prezzo, e che quel prezzo si paga quasi sempre in rinunce. Proviamo a fare un esercizio scomodo. Immagina di poter avere solo una di queste tre cose: Quale sceglieresti? La difficoltà nel rispondere molto. La sindrome del “sì, ma…” Riconosci questa voce interiore? “Sì, vorrei cambiare lavoro… ma non posso permettermi di guadagnare meno.”“Sì, vorrei viaggiare… ma non voglio intaccare i miei risparmi.”“Sì, vorrei mettermi in proprio… ma non voglio lo stress.” Questo non è il linguaggio di chi vuole davvero cambiare, ma di chi cerca solo di lenire il rimpianto. Prendi un foglio e traccia due colonne. Nella prima, scrivi cosa sei disposto a perdere: tempo libero, certezze, status sociale. Nella seconda, cosa speri di guadagnare: libertà, crescita, autenticità. Se la prima colonna rimane vuota, la seconda è soltanto un sogno a occhi aperti. L’arte del compromesso Fare scelte vere significa innanzitutto accettare un principio fondamentale: ogni percorso ha il suo prezzo. Vuoi libertà finanziaria? Dovrai affrontare l’incertezza.Cerchi stabilità emotiva? Dovrai accettare qualche limite.Aspiri alla crescita personale? Dovrai imparare a stare nel disagio. La domanda chiave è “Cosa voglio?” Il compromesso non è una resa. Nessuno ha tutto, tutti scelgono qualcosa. Oggi puoi iniziare Il segreto non è trovare il modo di avere tutto, ma scoprire cosa sei felice di perdere. Prendi un altro foglio e scrivi tre cose a cui potresti dire “basta” per liberare spazio nella tua vita. Poi scegline una – solo una – e agisci entro le prossime 24 ore. Perché alla fine, la vera libertà non è avere infinite possibilità, ma trovare il coraggio di sceglierne poche, e viverle fino in fondo. Scegli con saggezza.