Ogni giorno ci troviamo di fronte a scelte che possono cambiare il corso della nostra vita. Alcune sembrano semplici, altre ci paralizzano, ci tormentano, ci costringono a interrogarci su chi siamo e cosa vogliamo davvero. Iniziare una nuova attività, cambiare strada, perseverare nonostante le difficoltà – ogni decisione porta con sé un carico di dubbi e possibilità. Come facciamo a sapere se stiamo facendo la scelta giusta? Il significato della scelta La parola “scegliere” nasconde una profonda saggezza. Deriva dal latino exeligĕre, composto da *ex-* (fuori) e legĕre (raccogliere). Letteralmente significa “selezionare togliendo”, “separare il prezioso dall’ordinario”. Questa etimologia ci ricorda che ogni scelta è un atto di discernimento: Esclude (perché dire “sì” a una cosa significa dire “no” a infinite altre). Eleva (perché implica riconoscere ciò che ha più valore per noi). Ogni volta che scegliamo, stiamo distinguendo ciò che ci appartiene da ciò che ci allontana da noi stessi. Di fatto, non stiamo solo prendendo una decisione, stiamo definendo chi siamo. Come scegliere ciò che è giusto per noi? Con i miei clienti, amo parlare di valori, direzione e motivazione, perché sono le bussole che ci guidano quando il presente sembra confuso. Spesso restiamo intrappolati nel qui e ora, nelle paure del momento, nelle comodità che ci imprigionano. Ma la vera libertà arriva quando ci colleghiamo a una prospettiva più ampia. Se ci agganciamo a qualcosa di più grande – un ideale, una visione, un “perché” profondo – allora ogni fatica acquista senso. Su cosa ha dunque senso riflettere? I Valori – “Ciò che faccio rispecchia chi sono davvero?” I valori sono i nostri pilastri interiori, ciò che ci fa sentire in pace anche quando tutto intorno è incerto. C’è allineamento tra le tue azioni e i tuoi principi fondamentali? La fatica che stai affrontando serve a qualcosa in cui credi, o è solo resistenza senza scopo? La Direzione – “Verso dove sto andando, e perché?” Una bussola non ti dice ogni passo da fare, ma ti indica il Nord. Stai andando verso una metà significativa? Dove vuoi essere tra 1/5/10 anni? La Motivazione Intrinseca – “Cosa mi muove davvero dal profondo?” La motivazione autentica nasce da un fuoco interiore che ci spinge ad agire con gioia e convinzione. È quella spinta che ci fa dire: “Lo faccio perché mi risuona, perché mi sento vivo, perché è parte di me.” Come riconoscere la motivazione intrinseca? Energia spontanea Quando pensi a questa scelta, senti un’attrazione naturale o è solo un “dovrei”? Fluire, non forzare Se nessuno ti vedesse, se non ci fossero ricompense esterne, vorrei comunque farlo? Radici nei valori Ciò che fai è espressione di qualcosa che per me ha significato? Come farlo in 3 semplici mosse? Scegliere non è solo un atto razionale, ma un movimento verso ciò che ci definisce. Per trasformare il dubbio in chiarezza, possiamo lavorare su 3 aspetti: leggere, eleggere, intelligere. Non sono parole astratte, ma verbi che racchiudono l’arte di decidere con consapevolezza. Leggi (leggĕre) – Interpreta la realtà con chiarezza Fai un check: “Cosa vedo? Cosa sento? Cosa mi dice l’istinto?” Osserva senza filtri: le tue emozioni, i segnali esterni, ciò che resiste e ciò che fluisce. Elegi (elĕgere) – Scegli con intenzionalità, come un voto per il tuo futuro Chiediti: “Quale opzione onora davvero i miei valori?” Non esistono scelte perfette, solo scelte autentiche. Intelligi (intellĕgere) – Anticipa le conseguenze con saggezza Rifletti: “Cosa crea questa scelta? Mi avvicina o mi allontana da ciò che conta?” Ogni decisione pianta un seme: assicurati che il terreno sia fertile. Conclusione: Scegliere è un Ritorno a Sé Stessi Scegliere è un atto sacro. Non si tratta solo di opzioni pratiche, ma di chi vogliamo diventare. Ogni volta che separiamo l’essenziale dal superfluo, stiamo riprendendo contatto con la nostra verità interiore. Stiamo dicendo “sì” a una versione più libera, più integra, più fedele di noi stessi. Prima di decidere, fatti una domanda semplice ma potente:“Questa scelta mi rende più leggero o più pesante? Più vivo o più intrappolato?” La risposta, quando arriva dal cuore, non sbaglia mai.
Le Maschere che indossiamo
Quante volte ci sorprendiamo a: Jean-Paul Sartre chiamava questa recita mauvaise foi (mala fede): un inganno in cui crediamo di essere la maschera, dimenticando di poterla togliere. Per evitare l’angoscia delle scelte e delle possibilità, fingiamo di avere un’essenza fissa. Ma l’uomo, come scriveva Sartre, “non è ciò che è, ma ciò che sceglie di essere”. Cosa succede quando la performance sociale diventa una gabbia? E come può il coaching aiutarci a ritrovare un’esistenza autentica? 1. Perché Indossiamo Maschere? Il manager che “deve sempre essere forte” e reprime ogni dubbio, il genitore che “deve avere tutto sotto controllo” e non ammette mai stanchezza, l’amico che “deve essere sempre disponibile” anche a costo di annullarsi. Perché non riusciamo a farne a meno? Spesso e ci ritroviamo a dire frasi come: “Io sono questo”, “Devo essere così, non ho alternative”. 2. Come riconoscere le proprie maschere e come liberarsene? Non si tratta di eliminare i ruoli sociali (sarebbe impossibile!), ma di smettere di identificarci con essi. Siamo sempre in divenire: definiti non da un’identità fissa, ma dalle scelte che facciamo, attimo dopo attimo. Esercizio: La Maschera e il Volto 3.Conclusione Vivere autenticamente non significa rifiutare i ruoli sociali, ma viverli con presenza, sapendo di poterli trasformare in ogni momento. L’eredità di Sartre ci ispira a: Perché la vita non è un copione da seguire, ma una possibilità da inventare
La tirannia del rimuginio mentale
Il rimuginio è un loop di pensieri negativi, spesso vaghi e visivi, che si autoalimenta. Proiettiamo scenari catastrofici moltiplicandoli come riflessi in un labirinto di specchi, illudendoci che questo meccanismo sia in qualche modo utile. In realtà, non fa che innescare una mini risposta allo stress, con picchi di cortisolo che il corpo non riesce a smaltire. L’Effetto Labirinto: Perché la Mente Rimane Bloccata Quando rimuginiamo, una rete di aree cerebrali legate all’autoreferenzialità entra in iperattività creando Il prezzo del rimuginio Il rimuginio non è solo un’abitudine mentale fastidiosa: è un logoramento silenzioso, consuma energia, distorce la realtà e, soprattutto, ci illude di essere produttivi mentre in realtà stiamo solo girando a vuoto. Poi, quasi senza accorgercene, arrivano le conseguenze: La soluzione: Non sei la nuvola ma il cielo Il rimuginio non è un errore, ma un’iperfunzione del nostro istinto di sopravvivenza: il cervello, evoluto per scansionare minacce, oggi si applica a fantasmi. Ed è qui, che la massima di un celebre maestro zen Thich Nhat Hanh ci viene in aiuto: “Non sei la nuvola nera, sei il cielo che la contiene”. La scienza gli dà ragione: osservare i pensieri senza farsi travolgere riduce il rimuginio. Ecco come: 1. Interrompere il Loop con il Grounding Sensoriale Tecnica 5-4-3-2-1: Esegui questo esercizio ovunque in 1 minuto. Raccogli: 5 cose che vedi → 4 suoni → 3 texture → 2 odori → 1 sapore. Perché funziona: Riattiva la corteccia sensoriale, “resettando” il cervello. 2. Il “Time Boxing” delle Preoccupazioni Dedica 10 minuti al giorno a rimuginare scrivendo scenari catastrofici. Dopo una settimana, il cervello smetterà di produrli spontaneamente. 3. Microdosi di Azione 5 minuti di esercizio fisico aiutano a resettare il cervello, ripristinando i circuiti cerebrali. Esercizio Pratico: Il Cassetto delle Preoccupazioni In Sintesi Il rimuginio è una falsa alleanza con il controllo e ancorarci al presente può aiutarci a gestirlo.
Coaching: perché la felicità è un viaggio verticale
“La felicità non è un dato, ma una costruzione” – scriveva José Ortega y Gasset nelle sue Meditazioni sulla felicità. Per il filosofo spagnolo, la vita autentica richiede un movimento attivo, un’ascesa faticosa verso la chiarezza, simile all’anabasi dei Greci di Senofonte: un’avanzata nel territorio ignoto di sé stessi, seguita da un ritorno trasformato. Ma cosa accade se paragoniamo questa anabasi filosofica al coaching moderno? E se il vero viaggio fosse una discesa verticale nell’interiorità, prima del ritorno al mondo? 1. L’Anabasi Filosofica: La Scalata di Ortega y Gasset Ortega vede la felicità come un’opera d’arte personale, non un dono passivo ma il frutto di un sforzo. L’Anabasi di Senofonte non è solo una ritirata militare: è una metafora della vita. I mercenari greci dovettero: Affrontare l’ignoto, senza mappe Mantenere la disciplina Combattere nemici esterni e interni Come i mercenari greci, che avanzano verso l’ignoto per poi ritornare cambiati, l’individuo deve affrontare il caos interiore per riconquistare un nuovo ordine. Oggi, però, molti cercano scorciatoie. Il coaching rischia di ridursi a “10 passi per la felicità”, promettendo vette senza il viaggio. Ma senza attraversare il territorio sconosciuto di sé stessi – senza affrontare le proprie tribù ostili interiori – non c’è vera trasformazione. 2. Il Coaching come Discesa Verticale Se l’Anabasi è una marcia in avanti, il coaching autentico è anche una discesa nell’abisso. Come i Greci che, prima di gridare “Thálassa!”, dovettero attraversare montagne e steppe, noi dobbiamo scendere nelle nostre profondità: E solo dopo viene l’esultanza: “Il mare! Il mare!” – la metafora della chiarezza, del ritorno a casa. Ma quella casa, ora, è diversa. 3. Andata e Ritorno: La Felicità come Movimento La felicità non sta né nella vetta né nella caverna, ma nel ritmo del viaggio: Per un Coaching “Anabasico” Ortega scriveva: “Io sono io e la mia circostanza”. Il coaching, allora, deve essere: “Ogni ritorno è un inizio” Il mare che raggiungiamo oggi non sarà lo stesso di domani. “Thálassa!” griderai ancora. Ma stavolta saprai: quel mare sei tu. E tu, sei pronto a navigare il tuo abisso?
Il Cambiamento Esiste Solo Se Si Vede?
Il Paradosso del Cambiamento: Visibile o Interiore? Spesso associamo il cambiamento a qualcosa di tangibile: risultati misurabili, azioni osservabili, trasformazioni esterne. Se una persona smette di fumare, perde peso, cambia lavoro, o migliora una relazione, riconosciamo il suo percorso. Ma cosa succede quando il cambiamento è silenzioso, puramente interiore? Spesso siamo spinti a celebrare solo ciò che è visibile, concreto, condivisibile. Eppure, alcune delle rivoluzioni più profonde avvengono nell’ombra: un pensiero che si trasforma, una paura affrontata, un limite mentale superato. La consapevolezza è il primo passo, ma è sufficiente per sentirsi fieri? La Consapevolezza: Il Terreno Fertile del Cambiamento Jung diceva che ciò che non portiamo alla luce diventa il nostro destino. La consapevolezza è proprio questo: illuminare le ombre per smettere di esserne schiavi. La consapevolezza non è solo “sapere” qualcosa è sentirlo. Ma che significato concreto può avere per noi? Quando il Fuori Diventa Specchio del Dentro Tuttavia, c’è un rischio nell’accontentarsi della sola consapevolezza: l’autoinganno. Quante volte abbiamo detto “So cosa devo fare” senza agire? E’ la consapevolezza fredda, il sapere senza sentire e senza agire. Per trasformare la comprensione in cambiamento, serve consapevolezza “calda”, emotivamente coinvolta: Non basta capire di avere paura del giudizio, serve sentire quel nodo allo stomaco quando esponiamo un’idea e scegliere di parlare comunque. Non basta capire di essere insicuri, serve osservare quella voce critica e rispondere con gentilezza. Questo è il divario tra sapere e fare e, in tal senso il cambiamento esteriore può essere un alleato: Fieri Dentro e Fuori Il cambiamento non è binario. La consapevolezza è la radice, l’azione è il frutto. Essere fieri di sé richiede entrambi: onorare il percorso interiore, anche se invisibile e accettare che, a volte, è proprio l’azione esteriore a consolidare la trasformazione interiore. E tu? Ti basta aver ‘capito’ per sentirti cambiato, o cerchi una prova nel mondo tangibile?
Un giorno questo dolore ti sarà utile?
Quando il lavoro ci spinge oltre i limiti: come distinguere tra crescita e autodistruzione Esiste una linea sottile, invisibile e spesso sfocata, tra ciò che ci spinge verso la crescita e ciò che ci consuma. La vita lavorativa non è solo un percorso di risultati e successi, ma spesso si trasforma in una lotta incessante contro il tempo, le aspettative e, soprattutto, contro se stessi. Ritmi impossibili, richieste insostenibili, interazioni che svuotano. La tua mente, esasperata, si ripete continuamente frasi come “Devo farcela”, “Non posso mollare”, “Sono quasi arrivato”, ma il corpo, un testimone silenzioso, lancia segnali sempre più evidenti di sofferenza. E allora ci chiediamo: La domanda dunque è: questo dolore è un trampolino per la crescita o una trappola della mente che ci porta verso l’autodistruzione? E allora, cosa possiamo fare? 1. Rientra in te stesso: la tua voce interiore è alleata o nemica? Questa domanda non è solo retorica: è un invito a riflettere sull’intensità e sulla qualità del nostro rapporto con noi stessi. Quante volte ci accettiamo solo se siamo produttivi? E quante volte accettiamo il nostro valore solo attraverso le lenti della performance e della comparazione sociale? Il linguaggio che usiamo con noi stessi ha un impatto profondo, perché modella la nostra percezione del mondo e la nostra reazione agli eventi: Possiamo usare un linguaggio distruttivo o rigenerante: La tua voce interiore è amica o nemica? Se è una critica incessante, è il momento di fermarsi e ricalibrare. 2. Osserva: l’ambiente in cui vivi ti nutre o ti avvelena? Non possiamo sempre scegliere l’ambiente di lavoro, ma possiamo imparare a leggerlo e a riconoscere se quello che ci circonda ci porta verso la crescita o verso il logoramento. Non chiederti se il tuo ambiente di lavoro è “buono” o “cattivo”. Chiediti “Qui, cosa viene nutrito? E cosa viene avvelenato?” Metti a fuoco: Come ti senti nei meeting? Gli errori sono visti come opportunità di crescita o come segni di inadeguatezza? Il feedback che ricevi ti sostiene o ti distrugge? Quali emozioni vengono coltivate e quali sono soffocate? Cosa fiorisce qui: la paura o la creatività? 3. Senti: il corpo non mente mai Il corpo è una bussola incredibilmente precisa che può dirci se siamo nel bel mezzo di un percorso che ci rinforza o che ci sta logorando. Lo stress cronico, infatti, non è solo una sensazione mentale: ha un impatto tangibile e fisico. La neuroscienza ci dice che lo stress prolungato riduce la plasticità cerebrale e accelera l’invecchiamento cellulare e la differenza tra eustress (stress positivo che stimola la crescita) e distress (stress che danneggia) è chiara nei segnali del corpo: 4. Fermati: sei davvero allineato con i tuoi valori? Immagina di poter fermare tutto, di poter chiudere gli occhi e di guardarti dall’esterno: cosa vedi? Sei allineato ai tuoi valori? Se il lavoro che fai ogni giorno ti costringe a sacrificare la tua salute, relazioni o i principi etici, la crescita che stai vivendo è illusoria. Le sfide possono aprire porte a nuove opportunità, ma se ci consumano senza lasciare spazio a un senso di integrità, stiamo solo danneggiando noi stessi. La domanda fondamentale da porsi è: Sto costruendo qualcosa di duraturo o mi sto solo consumando? Quando il dolore è utile? Il dolore non è mai fine a sé stesso. Non è la sofferenza che ci fa crescere, ma la sua qualità, la sua funzione. Il dolore è utile solo quando: Cosa fare? Il dolore è un insegnante crudele se lo ignoriamo, ma un alleato prezioso se lo ascoltiamo. Poniti delle domande ogni volta che senti che il confine tra crescita e autodistruzione si fa troppo sottile. La risposta potrebbe cambiare tutto.”
Comunicazione Efficace
Hai mai notato come due persone possano vivere la stessa situazione e descriverla in modi opposti? “È un problema” contro “È un’opportunità”. Questo accade perché il linguaggio non è uno strumento neutro, ma un vero e proprio strumento di creazione della realtà. Non ci limitiamo a trasmettere informazioni attraverso le parole: le usiamo per costruire mondi, per modellare percezioni, per creare stati d’animo. Ogni frase che pronunciamo è un atto creativo che influenza non solo chi ci ascolta, ma anche noi stessi. Ogni frase è un atto creativo Quando diciamo “questa situazione è un disastro”, non stiamo semplicemente commentando i fatti. Stiamo creando un’esperienza emotiva e cognitiva che si riflette nei circuiti neurali di chi ci ascolta… e anche nei nostri. Al contrario, se diciamo “questa è una sfida interessante”, il nostro cervello attiva reti legate alla curiosità, alla creatività, alla ricerca di soluzioni.Le parole che scegliamo non raccontano solo il mondo: lo trasformano. Il paradosso dell’ascolto: tutti ascoltano… ma pochi capiscono Ed ecco la grande illusione: pensiamo di comunicare chiaramente, ma spesso non veniamo compresi.Perché? La ricerca del Max Planck Institute ci mostra che, nella maggior parte delle conversazioni, le persone iniziano a formulare la risposta prima ancora che l’altro abbia finito di parlare.In altre parole, non ascoltiamo ciò che viene detto, ma ciò che ci aspettiamo di sentire, filtrato attraverso le nostre convinzioni, esperienze, e mappe mentali. E allora nasce il paradosso: Come superare questo scollamento?Come fare in modo che le parole creino una realtà condivisa? L’arte della comunicazione consapevole I comunicatori più efficaci sono consapevoli di questo doppio livello e imparano a parlare non solo per esprimersi, ma per costruire un ponte tra mondi interiori. Per farlo, agiscono su tre piani complementari: 1. Il piano logico-razionale È la struttura dell’argomentazione. Tecniche come la struttura piramidale o il metodo PREP (Point, Reason, Example, Point) aiutano a rendere il messaggio chiaro, ordinato e convincente. 2. Il piano emotivo-relazionale Qui entrano in gioco empatia e connessione. Il mirroring (rispecchiare sottilmente il linguaggio dell’interlocutore), l’uso delle pause strategiche, il tono e la presenza influenzano fortemente come il messaggio viene percepito. 3. Il piano meta-comunicativo È il livello più sofisticato, dove si lavora sui frame mentali, cioè i modelli con cui interpretiamo la realtà. Qui intervengono strumenti della psicologia comportamentale e della PNL per ridefinire le cornici dentro cui si muove la comunicazione. Riprogrammare la realtà: un esercizio trasformativo Proviamo insieme un esercizio semplice ma potente.Prendi una frase che ripeti spesso e che ti limita, ad esempio: “Non ho abbastanza tempo.” Ora trasformiamola su tre livelli: Senti la differenza? Noti come cambia la nostra esperienza interiore con ciascuna formulazione?Le parole non sono “positive” nel senso banale del termine. Sono strumenti di trasformazione. Parlano non solo al nostro cervello, ma al nostro sistema nervoso, alla nostra identità, al nostro modo di agire nel mondo. Gli studi dell’Università di Washington dimostrano che la ripetizione è fondamentale: un’idea espressa una sola volta viene percepita come interessante. Dopo tre volte diventa credibile. Dopo sette, entra nel nostro schema mentale e diventa automatismo. Il coaching linguistico: costruire mondi migliori Dove entra in gioco il coaching? Un buon coach non ti dice solo cosa dire. Ti aiuta a diventare un architetto consapevole del tuo linguaggio.Ti accompagna in un lavoro su tre livelli: L’invito finale Quando comprendiamo profondamente questi principi, realizziamo che non siamo semplici comunicatori: siamo architetti della realtà. Le parole smettono di essere strumenti per diventare materiali da costruzione con cui modelliamo esperienze, relazioni e opportunità.. La prossima volta che stai per parlare – in una riunione, con un collega, o anche solo dentro di te – fermati un attimo. Ricorda: Non stai descrivendo il mondo.Lo stai creando. La vera domanda non è “Cosa voglio dire?”,ma: “Che realtà voglio evocare con queste parole?”
Hai il coraggio di guardarti dentro?
Ti è mai capitato di fissare lo schermo del computer, o di guardare malinconicamente fuori dalla finestra dell’ufficio, chiedendoti se c’è di più nella vita oltre a quella scrivania? O ancora, di scrollare il telefono con una strana malinconia, come se stessi cercando qualcosa che non riesci a trovare? Queste non sono solo pause distratte. Sono segnali. Messaggi che ti stai inviando, forse senza nemmeno rendertene conto. Messaggi che dicono: ‘Sto davvero vivendo la vita che voglio? Sto dando il massimo? E, soprattutto, so davvero chi sono e dove voglio andare?’ In un mondo che corre veloce, fermarsi a riflettere su queste domande non è un lusso. È una necessità. Perché, come dimostra uno studio della Harvard Business Review, il 72% dei professionisti di successo attribuisce il proprio traguardo non alle competenze tecniche, ma alla capacità di auto-riflessione e alla chiarezza dei propri valori. Entrano dunque in gioco consapevolezza, motivazione e visione. La Triade: Consapevolezza, Motivazione, Visione Non si tratta di concetti astratti, ma di pilastri supportati dalla scienza e dalle esperienze dei leader di oggi. Ecco perché questa triade è rilevante: Perché Questa Triade è il Segreto del Futuro? Il MIT Sloan Management Review (2023) ha analizzato 5.000 professionisti in transizione di carriera: l’86% di chi aveva lavorato su motivazione, visione e comprensione ha trovato un nuovo ruolo soddisfacente entro 6 mesi, contro il 22% di chi si era limitato ad aggiornare il CV. Costruire la Tua Armatura Interiore: Ecco come applicare queste evidenze nella pratica: Conclusione: Non Serve un Piano Perfetto, Serve un Motivo Forte Come scrive Adam Grant “I piani cadono a pezzi. I valori no”.E tu, hai il coraggio di guardarti dentro?
Oltre il filtro
Viviamo circondati da filtri: sociali, mentali, emotivi. Ci proteggono, ma ci allontanano dalla nostra vera essenza. Cosa accadrebbe se, per un attimo, li mettessimo da parte? Scopriamo insieme il coraggio di guardare il mondo – e noi stessi – senza distorsioni.