Il rimuginio è un loop di pensieri negativi, spesso vaghi e visivi, che si autoalimenta. Proiettiamo scenari catastrofici moltiplicandoli come riflessi in un labirinto di specchi, illudendoci che questo meccanismo sia in qualche modo utile. In realtà, non fa che innescare una mini risposta allo stress, con picchi di cortisolo che il corpo non riesce a smaltire. L’Effetto Labirinto: Perché la Mente Rimane Bloccata Quando rimuginiamo, una rete di aree cerebrali legate all’autoreferenzialità entra in iperattività creando Il prezzo del rimuginio Il rimuginio non è solo un’abitudine mentale fastidiosa: è un logoramento silenzioso, consuma energia, distorce la realtà e, soprattutto, ci illude di essere produttivi mentre in realtà stiamo solo girando a vuoto. Poi, quasi senza accorgercene, arrivano le conseguenze: La soluzione: Non sei la nuvola ma il cielo Il rimuginio non è un errore, ma un’iperfunzione del nostro istinto di sopravvivenza: il cervello, evoluto per scansionare minacce, oggi si applica a fantasmi. Ed è qui, che la massima di un celebre maestro zen Thich Nhat Hanh ci viene in aiuto: “Non sei la nuvola nera, sei il cielo che la contiene”. La scienza gli dà ragione: osservare i pensieri senza farsi travolgere riduce il rimuginio. Ecco come: 1. Interrompere il Loop con il Grounding Sensoriale Tecnica 5-4-3-2-1: Esegui questo esercizio ovunque in 1 minuto. Raccogli: 5 cose che vedi → 4 suoni → 3 texture → 2 odori → 1 sapore. Perché funziona: Riattiva la corteccia sensoriale, “resettando” il cervello. 2. Il “Time Boxing” delle Preoccupazioni Dedica 10 minuti al giorno a rimuginare scrivendo scenari catastrofici. Dopo una settimana, il cervello smetterà di produrli spontaneamente. 3. Microdosi di Azione 5 minuti di esercizio fisico aiutano a resettare il cervello, ripristinando i circuiti cerebrali. Esercizio Pratico: Il Cassetto delle Preoccupazioni In Sintesi Il rimuginio è una falsa alleanza con il controllo e ancorarci al presente può aiutarci a gestirlo.
Un giorno questo dolore ti sarà utile?
Quando il lavoro ci spinge oltre i limiti: come distinguere tra crescita e autodistruzione Esiste una linea sottile, invisibile e spesso sfocata, tra ciò che ci spinge verso la crescita e ciò che ci consuma. La vita lavorativa non è solo un percorso di risultati e successi, ma spesso si trasforma in una lotta incessante contro il tempo, le aspettative e, soprattutto, contro se stessi. Ritmi impossibili, richieste insostenibili, interazioni che svuotano. La tua mente, esasperata, si ripete continuamente frasi come “Devo farcela”, “Non posso mollare”, “Sono quasi arrivato”, ma il corpo, un testimone silenzioso, lancia segnali sempre più evidenti di sofferenza. E allora ci chiediamo: La domanda dunque è: questo dolore è un trampolino per la crescita o una trappola della mente che ci porta verso l’autodistruzione? E allora, cosa possiamo fare? 1. Rientra in te stesso: la tua voce interiore è alleata o nemica? Questa domanda non è solo retorica: è un invito a riflettere sull’intensità e sulla qualità del nostro rapporto con noi stessi. Quante volte ci accettiamo solo se siamo produttivi? E quante volte accettiamo il nostro valore solo attraverso le lenti della performance e della comparazione sociale? Il linguaggio che usiamo con noi stessi ha un impatto profondo, perché modella la nostra percezione del mondo e la nostra reazione agli eventi: Possiamo usare un linguaggio distruttivo o rigenerante: La tua voce interiore è amica o nemica? Se è una critica incessante, è il momento di fermarsi e ricalibrare. 2. Osserva: l’ambiente in cui vivi ti nutre o ti avvelena? Non possiamo sempre scegliere l’ambiente di lavoro, ma possiamo imparare a leggerlo e a riconoscere se quello che ci circonda ci porta verso la crescita o verso il logoramento. Non chiederti se il tuo ambiente di lavoro è “buono” o “cattivo”. Chiediti “Qui, cosa viene nutrito? E cosa viene avvelenato?” Metti a fuoco: Come ti senti nei meeting? Gli errori sono visti come opportunità di crescita o come segni di inadeguatezza? Il feedback che ricevi ti sostiene o ti distrugge? Quali emozioni vengono coltivate e quali sono soffocate? Cosa fiorisce qui: la paura o la creatività? 3. Senti: il corpo non mente mai Il corpo è una bussola incredibilmente precisa che può dirci se siamo nel bel mezzo di un percorso che ci rinforza o che ci sta logorando. Lo stress cronico, infatti, non è solo una sensazione mentale: ha un impatto tangibile e fisico. La neuroscienza ci dice che lo stress prolungato riduce la plasticità cerebrale e accelera l’invecchiamento cellulare e la differenza tra eustress (stress positivo che stimola la crescita) e distress (stress che danneggia) è chiara nei segnali del corpo: 4. Fermati: sei davvero allineato con i tuoi valori? Immagina di poter fermare tutto, di poter chiudere gli occhi e di guardarti dall’esterno: cosa vedi? Sei allineato ai tuoi valori? Se il lavoro che fai ogni giorno ti costringe a sacrificare la tua salute, relazioni o i principi etici, la crescita che stai vivendo è illusoria. Le sfide possono aprire porte a nuove opportunità, ma se ci consumano senza lasciare spazio a un senso di integrità, stiamo solo danneggiando noi stessi. La domanda fondamentale da porsi è: Sto costruendo qualcosa di duraturo o mi sto solo consumando? Quando il dolore è utile? Il dolore non è mai fine a sé stesso. Non è la sofferenza che ci fa crescere, ma la sua qualità, la sua funzione. Il dolore è utile solo quando: Cosa fare? Il dolore è un insegnante crudele se lo ignoriamo, ma un alleato prezioso se lo ascoltiamo. Poniti delle domande ogni volta che senti che il confine tra crescita e autodistruzione si fa troppo sottile. La risposta potrebbe cambiare tutto.”
Quando il Lavoro Ti Delude
Ritrovare Sé Stessi tra Incomprensione e Disillusione C’è un dolore sottile, ma profondo, che nasce quando il lavoro smette di essere una fonte di soddisfazione e diventa invece un luogo di frustrazione. Quando ti rendi conto che, nonostante l’impegno, le energie e la passione che ci hai messo, qualcosa non torna. Manca il riconoscimento che speravi. Le tue idee sembrano sfiorare i colleghi senza lasciare traccia, i tuoi sforzi passano inosservati, e ogni giorno ti senti sempre più invisibile, senza visione, senza prospettativa. E poi arriva quel momento in cui guardi intorno e ti chiedi: Ma sono io che non capisco, o sono loro che non mi vedono? E così cominci a dubitare. Di tutto. Di ogni tua scelta, di ogni parola, di ogni gesto. Ti sei mai fermato a pensare a quante volte ti sei messo in discussione? A quante volte hai pensato: Forse sono io. Forse esagero. Forse non sono abbastanza. Ti sei smontato pezzo per pezzo, fino a non riconoscerti più. Fino a sentirti vuoto. Lo Specchio Distorto Gli altri ti hanno rimandato un’immagine di te che non riconoscevi. Troppo sensibile. Troppo lento. Troppo impulsivo. Troppo te stesso, eppure mai abbastanza. E tu ci hai creduto. Hai iniziato a camminare in punta di piedi, a trattenere le parole, a spegnere le emozioni. Il Momento in cui Capisci Poi, un giorno, accade qualcosa. Un attimo di lucidità. Un lampo. Capisci. Capisci la violenza che ti sei inflitto ogni volta che hai dubitato di te. Capisci il male che ti sei fatto, piegandoti, annullandoti, pur di entrare in uno stampo che non era il tuo. Capisci che forse il problema non eri solo tu. Che la verità sta nel mezzo. Che non esistono misure estreme. E allora ripensi a tutte quelle volte in cui, in realtà, avevi agito bene. A tutte le volte in cui avevi ragione, ma ti sei lasciato convincere del contrario. A tutte le volte in cui eri giusto, eppure ti sei sentito sbagliato. Raccogli i Pezzi E lì, in quel momento, senti qualcosa di nuovo. Il bisogno di ritrovarti. Di smettere di chiedere scusa, di rimpicciolirti, di estraniarti in pensieri negativi senza fine. Ti guardi allo specchio e, forse per la prima volta, non vedi più ciò che gli altri volevano che fossi. Vedi te. Con tutte le tue imperfezioni, le tue sfumature, le tue contraddizioni. E capisci che questa crisi aveva uno scopo, di farti cadere per poi rialzarti, più autentico, più forte, più umano. Ritrovarsi: Un Atto di Coraggio Forse non esiste una risposta semplice, una formula che cancelli il dolore di sentirsi invisibili. Ma quel lampo di lucidità—quell’istante in cui hai smesso di negarti—ti ha già indicato la strada. 1. Rubati alla narrazione altruiNon è ribellione, è sopravvivenza. Se aspetti che siano gli altri a dirti che vali, rimarrai deluso. Il riconoscimento più importante deve venire da te. Inizia a chiederti: Io, per primo, mi riconosco? Mi do il diritto di essere come sono? Il riconoscimento che cercavi altrove inizia lì—nello spazio tra ciò che eri e ciò che osi essere di nuovo. 2. Riconosci il deserto… e scegli di attraversarloNon fiorirai dove ti negano la luce, ma puoi smettere di aspettare che qualcuno ti annaffi. Se il terreno è arido, non scavare più a fondo: cerca un’altra terra. O, se decidi di restare, smetti di chiederti perché non cresci—inizia a portarti la tua acqua.A volte, sentirsi fuori posto non è un fallimento, ma la prova che sei fatto per un altro paesaggio. O che, forse, sei tu stesso il giardiniere che quel posto aspetta. 3.Ricomincia da te – con ferrea autenticità I tuoi valori non sono bandiere da sventolare nelle emergenze.Sono la spina dorsale che ti tiene eretto quando il mondo ti spingerebbe a curvarti. Agisci come se nessuno potesse fermarti: L’autenticità non è un rifugio.È l’arma con cui riconquisti il tuo territorio interiore.
Ansia e performance
Ehi, sì, proprio tu!Ti sei svegliato e senti il cuore che batte più velocemente. Il respiro si fa corto, le mani sudano, e quella sensazione di nodo allo stomaco non ti abbandona. È l’ansia, che si insinua come un filtro invisibile, pronto a distorcere la tua visione della realtà. Ti riconosci?Se sei uno studente, forse ti è capitato di pensare alla tesi che incombe, agli esami da superare, a quel futuro che sembra così incerto. Se invece stai già lavorando, magari ti chiedi come fare il prossimo passo nella tua carriera o come distinguerti in un mondo sempre più competitivo.In ogni caso, la domanda è sempre la stessa: “Cosa ne sarà di me? Come troverò la mia strada in un mondo che sembra così complicato?” L’ansia non è come i filtri dei social che usiamo per apparire migliori. È una lente che ingigantisce le paure, rendendo il mondo un luogo minaccioso e imprevedibile. John Whitmore, nel suo libro “Coaching for Performance”, ci ricorda che la performance è il nostro potenziale senza interferenze e che per raggiungere i nostri obiettivi dobbiamo eliminarle. L’ansia è una di queste. Ma come si fa? Sembra più facile a dirsi che a farsi, vero? È vero, non esiste una bacchetta magica per eliminare l’ansia dall’oggi al domani. Ma ogni grande cambiamento inizia da piccoli passi. L’ansia può paralizzare o diventare un segnale per migliorare, crescere e trovare la tua strada Qual è l’interferenza più grande che ti blocca in questo momento? Scrivilo nero su bianco: dare un nome alla tua interferenza è il primo passo per superarla. A te la scelta!