Quante volte ci sorprendiamo a: Jean-Paul Sartre chiamava questa recita mauvaise foi (mala fede): un inganno in cui crediamo di essere la maschera, dimenticando di poterla togliere. Per evitare l’angoscia delle scelte e delle possibilità, fingiamo di avere un’essenza fissa. Ma l’uomo, come scriveva Sartre, “non è ciò che è, ma ciò che sceglie di essere”. Cosa succede quando la performance sociale diventa una gabbia? E come può il coaching aiutarci a ritrovare un’esistenza autentica? 1. Perché Indossiamo Maschere? Il manager che “deve sempre essere forte” e reprime ogni dubbio, il genitore che “deve avere tutto sotto controllo” e non ammette mai stanchezza, l’amico che “deve essere sempre disponibile” anche a costo di annullarsi. Perché non riusciamo a farne a meno? Spesso e ci ritroviamo a dire frasi come: “Io sono questo”, “Devo essere così, non ho alternative”. 2. Come riconoscere le proprie maschere e come liberarsene? Non si tratta di eliminare i ruoli sociali (sarebbe impossibile!), ma di smettere di identificarci con essi. Siamo sempre in divenire: definiti non da un’identità fissa, ma dalle scelte che facciamo, attimo dopo attimo. Esercizio: La Maschera e il Volto 3.Conclusione Vivere autenticamente non significa rifiutare i ruoli sociali, ma viverli con presenza, sapendo di poterli trasformare in ogni momento. L’eredità di Sartre ci ispira a: Perché la vita non è un copione da seguire, ma una possibilità da inventare
La tirannia del rimuginio mentale
Il rimuginio è un loop di pensieri negativi, spesso vaghi e visivi, che si autoalimenta. Proiettiamo scenari catastrofici moltiplicandoli come riflessi in un labirinto di specchi, illudendoci che questo meccanismo sia in qualche modo utile. In realtà, non fa che innescare una mini risposta allo stress, con picchi di cortisolo che il corpo non riesce a smaltire. L’Effetto Labirinto: Perché la Mente Rimane Bloccata Quando rimuginiamo, una rete di aree cerebrali legate all’autoreferenzialità entra in iperattività creando Il prezzo del rimuginio Il rimuginio non è solo un’abitudine mentale fastidiosa: è un logoramento silenzioso, consuma energia, distorce la realtà e, soprattutto, ci illude di essere produttivi mentre in realtà stiamo solo girando a vuoto. Poi, quasi senza accorgercene, arrivano le conseguenze: La soluzione: Non sei la nuvola ma il cielo Il rimuginio non è un errore, ma un’iperfunzione del nostro istinto di sopravvivenza: il cervello, evoluto per scansionare minacce, oggi si applica a fantasmi. Ed è qui, che la massima di un celebre maestro zen Thich Nhat Hanh ci viene in aiuto: “Non sei la nuvola nera, sei il cielo che la contiene”. La scienza gli dà ragione: osservare i pensieri senza farsi travolgere riduce il rimuginio. Ecco come: 1. Interrompere il Loop con il Grounding Sensoriale Tecnica 5-4-3-2-1: Esegui questo esercizio ovunque in 1 minuto. Raccogli: 5 cose che vedi → 4 suoni → 3 texture → 2 odori → 1 sapore. Perché funziona: Riattiva la corteccia sensoriale, “resettando” il cervello. 2. Il “Time Boxing” delle Preoccupazioni Dedica 10 minuti al giorno a rimuginare scrivendo scenari catastrofici. Dopo una settimana, il cervello smetterà di produrli spontaneamente. 3. Microdosi di Azione 5 minuti di esercizio fisico aiutano a resettare il cervello, ripristinando i circuiti cerebrali. Esercizio Pratico: Il Cassetto delle Preoccupazioni In Sintesi Il rimuginio è una falsa alleanza con il controllo e ancorarci al presente può aiutarci a gestirlo.
Comunicazione Efficace
Hai mai notato come due persone possano vivere la stessa situazione e descriverla in modi opposti? “È un problema” contro “È un’opportunità”. Questo accade perché il linguaggio non è uno strumento neutro, ma un vero e proprio strumento di creazione della realtà. Non ci limitiamo a trasmettere informazioni attraverso le parole: le usiamo per costruire mondi, per modellare percezioni, per creare stati d’animo. Ogni frase che pronunciamo è un atto creativo che influenza non solo chi ci ascolta, ma anche noi stessi. Ogni frase è un atto creativo Quando diciamo “questa situazione è un disastro”, non stiamo semplicemente commentando i fatti. Stiamo creando un’esperienza emotiva e cognitiva che si riflette nei circuiti neurali di chi ci ascolta… e anche nei nostri. Al contrario, se diciamo “questa è una sfida interessante”, il nostro cervello attiva reti legate alla curiosità, alla creatività, alla ricerca di soluzioni.Le parole che scegliamo non raccontano solo il mondo: lo trasformano. Il paradosso dell’ascolto: tutti ascoltano… ma pochi capiscono Ed ecco la grande illusione: pensiamo di comunicare chiaramente, ma spesso non veniamo compresi.Perché? La ricerca del Max Planck Institute ci mostra che, nella maggior parte delle conversazioni, le persone iniziano a formulare la risposta prima ancora che l’altro abbia finito di parlare.In altre parole, non ascoltiamo ciò che viene detto, ma ciò che ci aspettiamo di sentire, filtrato attraverso le nostre convinzioni, esperienze, e mappe mentali. E allora nasce il paradosso: Come superare questo scollamento?Come fare in modo che le parole creino una realtà condivisa? L’arte della comunicazione consapevole I comunicatori più efficaci sono consapevoli di questo doppio livello e imparano a parlare non solo per esprimersi, ma per costruire un ponte tra mondi interiori. Per farlo, agiscono su tre piani complementari: 1. Il piano logico-razionale È la struttura dell’argomentazione. Tecniche come la struttura piramidale o il metodo PREP (Point, Reason, Example, Point) aiutano a rendere il messaggio chiaro, ordinato e convincente. 2. Il piano emotivo-relazionale Qui entrano in gioco empatia e connessione. Il mirroring (rispecchiare sottilmente il linguaggio dell’interlocutore), l’uso delle pause strategiche, il tono e la presenza influenzano fortemente come il messaggio viene percepito. 3. Il piano meta-comunicativo È il livello più sofisticato, dove si lavora sui frame mentali, cioè i modelli con cui interpretiamo la realtà. Qui intervengono strumenti della psicologia comportamentale e della PNL per ridefinire le cornici dentro cui si muove la comunicazione. Riprogrammare la realtà: un esercizio trasformativo Proviamo insieme un esercizio semplice ma potente.Prendi una frase che ripeti spesso e che ti limita, ad esempio: “Non ho abbastanza tempo.” Ora trasformiamola su tre livelli: Senti la differenza? Noti come cambia la nostra esperienza interiore con ciascuna formulazione?Le parole non sono “positive” nel senso banale del termine. Sono strumenti di trasformazione. Parlano non solo al nostro cervello, ma al nostro sistema nervoso, alla nostra identità, al nostro modo di agire nel mondo. Gli studi dell’Università di Washington dimostrano che la ripetizione è fondamentale: un’idea espressa una sola volta viene percepita come interessante. Dopo tre volte diventa credibile. Dopo sette, entra nel nostro schema mentale e diventa automatismo. Il coaching linguistico: costruire mondi migliori Dove entra in gioco il coaching? Un buon coach non ti dice solo cosa dire. Ti aiuta a diventare un architetto consapevole del tuo linguaggio.Ti accompagna in un lavoro su tre livelli: L’invito finale Quando comprendiamo profondamente questi principi, realizziamo che non siamo semplici comunicatori: siamo architetti della realtà. Le parole smettono di essere strumenti per diventare materiali da costruzione con cui modelliamo esperienze, relazioni e opportunità.. La prossima volta che stai per parlare – in una riunione, con un collega, o anche solo dentro di te – fermati un attimo. Ricorda: Non stai descrivendo il mondo.Lo stai creando. La vera domanda non è “Cosa voglio dire?”,ma: “Che realtà voglio evocare con queste parole?”
Peak performance e Mental coaching
L’ansia nell’algoritmo della prestazione Viviamo in un mondo che celebra la produttività e il successo, ma spesso dimentica il peso dell’ansia cronica che accompagna queste sfide. Che tu sia uno studente in attesa di un colloquio decisivo, un atleta prima di una gara o un professionista sotto scadenza, la pressione può trasformarsi in un nemico invisibile. Questo articolo esplora come trasformare l’ansia in un alleato, sfruttando concetti scientifici per raggiungere la peak performance anche nelle situazioni più stressanti. Timothy Gallwey, nel suo The Inner Game of Tennis, ha rivoluzionato la psicologia dello sport insegnando che la vera battaglia non è fuori, ma dentro la nostra mente. Unendo le sue intuizioni alle neuroscienze, scopriamo che l’ansia può essere il carburante segreto della peak performance. Ansia e Performance: Il Paradosso della Curva a U La relazione tra ansia e prestazione è un equilibrio delicato: quando l’ansia è troppo bassa, il cervello scivola in una sorta di pigrizia neurale; al contrario, con un’ ansia moderata, si entra nella “zona magica” del flow. Ma, se si supera la soglia critica, l’ansia elevata innesca un cortocircuito emotivo. Prendiamo un esempio dal tennis: Gallwey direbbe: “Quando il Sé 1 (la mente critica) interferisce, il Sé 2 (il corpo intelligente) si blocca”. Cosa significa? L’ansia non è sempre negativa. Una dose controllata diventa carburante per l’azione. Il segreto è evitare il “punto di rottura”, imparando a regolare l’intensità emotiva e riducendo il peso della mente critica. Come? Prova queste tecniche di Mental training: 1. Respirazione a “Reset Neurologico” Usa la respirazione diaframmatica per interrompere il loop dell’ansia. Prova la tecnica 4-4-4-4: (Inspira per 4 secondi, Trattieni per 4 secondi. Espira per 4 secondi, Tieni i polmoni vuoti per 4 secondi) Perché funziona: Rallenta il battito cardiaco e riduce l’attività dell’amigdala, la zona del cervello che gestisce la paura. 2. Visualizzazione “If-Then” (Se-Allora): Prepara la mente a scenari imprevisti con un piano d’azione. Formula: “Se [situazione critica], allora [azione concreta]”.Esempio: “Se commetto un errore nei primi 10 minuti della gara, allora mi concentrerò sul prossimo punto/azione” Perché funziona: Riduce la paura dell’ignoto e crea un senso di controllo. 3. Micro-Routine Prestazionali Crea rituali brevi e ripetibili per attivare il “pilota automatico” Perché funziona: Le routine riducono il carico decisionale e attivano la memoria muscolare. 4. Dialogo Interno da “Osservatore” Trasforma i pensieri ansiosi in commenti neutrali. Passaggi: identifica il pensiero negativo (es.: “Non sono pronto”) e riformulalo in terza persona: “Luca sta pensando di non essere pronto, ma ha studiato 20 ore questa settimana”. Perché funziona: La distanza psicologica riduce l’impatto emotivo e razionalizza la situazione. 5. Training della Zona Grigia Come funziona: Esponi gradualmente te stesso a piccole dosi di stress per aumentare la tolleranza. Es. Simula un esame con rumori di sottofondo per abituarti al caos. Perché funziona: Rafforza la resilienza e insegna alla mente a gestire il disagio senza panico. Conclusioni: L’Ansia è un’Onda, Impara a Cavalcarla La peak performance non è assenza di paura, ma la capacità di usarla. Che tu stia affrontando un esame, un colloquio o una gara, ricorda cerca il progresso e usa l’ansia come segnale, non come un limite. “La prossima volta che senti il nodo allo stomaco, ricorda: non devi eliminarlo. Devi solo dargli una direzione.”