Coaching: perché la felicità è un viaggio verticale

“La felicità non è un dato, ma una costruzione” – scriveva José Ortega y Gasset nelle sue Meditazioni sulla felicità. Per il filosofo spagnolo, la vita autentica richiede un movimento attivo, un’ascesa faticosa verso la chiarezza, simile all’anabasi dei Greci di Senofonte: un’avanzata nel territorio ignoto di sé stessi, seguita da un ritorno trasformato. Ma cosa accade se paragoniamo questa anabasi filosofica al coaching moderno? E se il vero viaggio fosse una discesa verticale nell’interiorità, prima del ritorno al mondo?

1. L’Anabasi Filosofica: La Scalata di Ortega y Gasset

Ortega vede la felicità come un’opera d’arte personale, non un dono passivo ma il frutto di un sforzo. L’Anabasi di Senofonte non è solo una ritirata militare: è una metafora della vita. I mercenari greci dovettero:

Affrontare l’ignoto, senza mappe

Mantenere la disciplina

Combattere nemici esterni e interni 

Come i mercenari greci, che avanzano verso l’ignoto per poi ritornare cambiati, l’individuo deve affrontare il caos interiore per riconquistare un nuovo ordine. Oggi, però, molti cercano scorciatoie. Il coaching rischia di ridursi a “10 passi per la felicità”, promettendo vette senza il viaggio. Ma senza attraversare il territorio sconosciuto di sé stessi – senza affrontare le proprie tribù ostili interiori – non c’è vera trasformazione.

2. Il Coaching come Discesa Verticale

Se l’Anabasi è una marcia in avanti, il coaching autentico è anche una discesa nell’abisso. Come i Greci che, prima di gridare “Thálassa!”, dovettero attraversare montagne e steppe, noi dobbiamo scendere nelle nostre profondità:

  1. La discesa: Esplorare paure, contraddizioni, zone d’ombra
  2. Lo scontro con i “nemici”: Le resistenze psicologiche, le vecchie storie che ci raccontiamo.
  3. La disciplina: Senofonte non impose regole, ma coinvolse i soldati nella decisione. Un buon coach non dà ordini, ma guida il cliente a scoprire la sua strada.

E solo dopo viene l’esultanza: “Il mare! Il mare!” – la metafora della chiarezza, del ritorno a casa. Ma quella casa, ora, è diversa.

3. Andata e Ritorno: La Felicità come Movimento

La felicità non sta né nella vetta né nella caverna, ma nel ritmo del viaggio:

  • Filosofia e coaching coincidono quando rifiutano le risposte preconfezionate.
  • Come Senofonte, che tornò dalla Persia trasformato, anche noi dobbiamo “tornare” dalle nostre esplorazioni interiori con nuove domande, non solo risposte.

Per un Coaching “Anabasico”

Ortega scriveva: “Io sono io e la mia circostanza”. Il coaching, allora, deve essere:

  1. Senza scorciatoie: Accettare che la crescita richiede fatica, come la marcia dei 10.000.
  2. Radicato nella realtà: Lavorare sulle circostanze concrete, non su ideali astratti.

“Ogni ritorno è un inizio” Il mare che raggiungiamo oggi non sarà lo stesso di domani. “Thálassa!” griderai ancora. Ma stavolta saprai: quel mare sei tu.

E tu, sei pronto a navigare il tuo abisso?

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